Intervista di Betty Senatore alla rock band italiana, che dopo una crisi, “rinasce” con un nuovo album.
I Negrita sono uno dei gruppi rock più longevi e prolifici della musica italiana. Attivi da quasi 25 anni (il loro primo singolo è Cambio del 1994), hanno saputo mantenere sempre un loro riconoscibile sound. Negli ultimi mesi hanno però fatto preoccupare i loro fan. C’è stata una crisi profonda, ma come succede nelle migliori famiglie hanno affrontato di petto i problemi e sono tornati più carichi che mai raccontando la loro visione della vita e la loro rinascita nel nuovo album Desert Yacht Club.
Nella copertina del nuovo album c’è una barca arenata nel deserto. E’ la descrizione di quello che è successo ai Negrita negli ultimi anni?
E’ stato un caso trovarsi di fronte a quella barca, ma ci è sembrata da subito un’ottima metafora per rappresentare la situazione della band fino a quel momento. Poi le cose sono andate per il verso giusto e a quel punto si è trattato solo di rimettere l’imbarcazione in acqua e ricominciare la traversata. On the Sea again!
Per il tour avete chiesto ai fan di mandarvi foto di segni che hanno sulla pelle, così come il titolo della canzone “Scritto sulla pelle”. Voi avete più tatuaggi o cicatrici, anche simbolici?
Cicatrici, senza dubbio. Di tatuaggi nei Negrita ne puoi trovare solo due piccolissimi su Pau. Quelli dei fans, invece, sono serviti a costruire il video che scorreva dietro le nostre spalle per l’appunto su “Scritto sulla pelle”. Diciamo, una clip-verità!
La canzone che vi ha fatto conoscere al pubblico è Cambio. Dopo oltre 20 anni come siete cambiati?
Nella musica, così come nella vita, crediamo che si debba cambiare continuamente. Chi non cambia è già morto. Il trucco, se vuoi, è cambiare rimanendo possibilmente fedeli a se stessi. La differenza che passa tra una banderuola al vento ed un organismo in evoluzione.
All’inizio della vostra carriera è stata importante la collaborazione con Ligabue per “L’han detto anche gli Stones”. A distanza di molti anni a chi vorreste dare l’opportunità, fra le band emergenti, di farsi conoscere?
Collaboriamo spesso con artisti di vario genere. Italiani e non. Conosciuti e non. Su DYC, ad esempio, abbiamo chiamato a reppare Ensi (anche se non è proprio un esordiente). Pau e Ghando in questo momento stanno lavorando su una nuova band aretina chiamata WHAO!
“Ho imparato a sognare” era nella colonna sonora del film di Aldo, Giovanni e Giacomo “Tre uomini e una gamba”. C’è un regista con cui adesso vi piacerebbe collaborare?
Stiamo già collaborando con un regista che sta preparando il suo primo lungometraggio, ma non possiamo dire altro al momento. Vi faremo sapere!
Il disco è nato intorno a un tavolo da cucina. Quanti caffè avete bevuto per farlo? Chi di voi li preparava? Come?
E’ nato intorno a tanti tavoli da cucina, italiani e americani. Caffè? Non troppi. Quelli che bastano per rimanere svegli (siamo già nervosi di nostro!) Di alcool ed altre amenità, invece, non parliamo volentieri. Siamo padri di famiglia (ridono). Il cuoco invece è sempre Mac. Una certezza.
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