I mille volti del cantautore che dopo una pausa torna con un nuovo progetto.
Per intervistare Enrico Ruggeri non basta il tempo di una telefonata. Staresti ad ascoltarlo ore ed ore per la quantità di cose che ha da raccontare sulla sua vita e la sua carriera. La sua attività, infatti, non si limita alla musica, ma si estende ai libri, alla tv e alla radio (conduce “ Il falco e il gabbiano” su Radio 24). Autore di decine e decine di canzoni entrate nel cuore di tutti, ha spaziato dal punk degli esordi fino al rock d’autore ed ha pubblicato oltre trenta album.
In Italia sei stato uno dei primi punk e hai da sempre parlato al popolo del rock. Cosa vorresti dire adesso a questo popolo? Ha bisogno di una svegliata?
E’ vivo, ma non vegeto. Una volta il rock era la musica della protesta, quella che scuoteva le coscienze, la musica dei giovani insomma. Oggi lo scenario è diverso. Quando a tredici anni dovevo prendere le distanze dai miei genitori facevo ascoltare i Black Sabbath a mia madre, pianista classica. Oggi i miei figli tredicenni cosa dovrebbero mettere per distanziarsi da me? La trap? Manca quel genere di musica di emancipazione che affranca dalla precedente generazione.
Da più di un anno hai finito la tournée con i Decibel. Cosa ti ha lasciato?
A livello personale grandi sensazioni, perché mi sono accorto che non ho avuto di fianco due sessantenni, ma i miei compagni del liceo. L’emozione era fortissima! Musicalmente sono molto orgoglioso dei dischi che abbiamo realizzato con una musica diversa da quella che si sente in giro. Credo di essere riuscito nell’intento di fare rock d’autore.
All’inizio della tua carriera, sei passato dal cantare l’amore e i rapporti con le donne – tutt’altro che idilliaci – al cantare temi rivolti più al sociale. Cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo disco?
Dal punto di vista sonoro il nuovo album è uno spartiacque, perché non può
somigliare né ai Decibel né al vecchio Ruggeri. Ci sono però i musicisti che in parte erano già in tournée con noi. Arriverà verso fine marzo. Non anticipo altro.
A proposito di momenti spartiacque, tu oltre al rock d’autore, hai anche scritto canzoni disco negli anni ’80 come “Tenax” e “Le Louvre” di Diana Est e “To Meet Me” di Dan Harrow…
Fondamentalmente dovevo sbarcare il lunario e ricostruirmi la carriera dopo lo scioglimento dei Decibel. Nel gruppo c’era Roberto Turati che faceva produzioni dance e così ne ho approfittato per dargli una mano. Ci eravamo inventati questa storia dei cantanti con un nome inglese fittizio che però voleva dire qualcosa, ad esempio Dan Harrow-denaro, oppure Joe Yello-gioiello e Albert One-albertone.
Hai anche scritto canzoni che parlano di sport come “Il fantasista”, “La donna del campione” e la toccante “Gimondi e il Cannibale”. Sport e musica come si fondono?
A me ha da sempre colpito l’aspetto letterario, poetico dello sport che non è certo quello rappresentato dai manager, dai mega ingaggi e dalle fidanzate super fotografate su Instagram. Gimondi, Rivera, Mazzola, Pelé erano facilmente raccontabili perché avevano una storia. Gianni Brera ha scritto
pagine di letteratura più che di giornalismo. Con quei personaggi diventa tutto più facile.
Cosa pensi dell’ultimo Festival di Sanremo? Le canzoni ti sono piaciute? Concordi con la giuria di qualità?
Ho molto apprezzato Simone Cristicchi, i Negrita, Daniele Silvestri e Zen Circus. Devo, però, ancora metabolizzare bene l’ondata giovane che è stata presentata.
Sentendo di nuovo cantare da Fiorella Mannoia, proprio a Sanremo, la tua canzone “Quello che le donne non dicono” ho pensato che le donne dovremmo ringraziarti perché hai dimostrato di conoscere bene l’universo femminile.
Vi ho osservato e ascoltato molto. Posso dire che quella canzone ha rappresentato la tappa della mia riconciliazione con il mondo femminile. Pensa che l’ho scritta quando avevo appena 29 anni!
Con chi vorresti bere un caffè fra i musicisti che stimi?
Premetto che amo il caffè, non solo da bere, ma anche come parola! Ricorre in molte mie canzoni perché è breve ed è accentata sul finale. Pensando ad un artista mi viene in mente il film” Coffee and cigarettes” di Jim Jarmush dove Tom Waits beve un caffè con Iggy Pop. Ecco, vorrei essere al posto di Tom.