Raggiungere di persona i paesi in cui crescono le piante di caffè, immergersi in quei luoghi dove non è così scontato avere accesso al cibo, all’energia elettrica o all’acqua. C’è chi lo fa non solo per vedere con i propri occhi i migliori chicchi e misurare con la punta delle dita i solchi all’interno delle bacche, ma anche per un altro fine: dare sostegno ai piccoli agricoltori che intravedono nelle piantagioni di caffè nuove speranze di crescita e sviluppo.
Giovanni Spadola, fondatore di Caffè Moak, è difficile da dissuadere quando si tratta di partire per lunghi viaggi verso quelle terre. La meta è il Congo, esattamente nel Nord Kivu, al confine con l’Uganda. Non è la prima volta che affronta questo lungo e tortuoso viaggio alla ricerca delle migliori monorigini. Con lui c’è anche Adriano Cafiso, coffee hunter, al quale racconta – durante il tragitto che li condurrà nelle piantagioni – di uno dei suoi viaggi in questa parte di Africa, nei primi anni novanta, quando la Repubblica Democratica Congo era il produttore africano leader di entrambe le qualità di caffè Arabica e Robusta e che i contadini nei pressi del confine con l’Uganda arrivavano a guadagnare quasi il 70% del valore della materia prima.
Successivamente, purtroppo, i continui focolai di guerra per il controllo di coltan, diamanti e oro, non hanno mai permesso lo sviluppo di politiche commerciali lungimiranti, ma hanno solo impoverito le popolazioni locali. Adriano racconta che quì non ci sono ponti, nè strade asfaltate: uomini, donne e bambini percorrono a piedi nudi chilometri di sentieri sterrati, carichi di legna, cibo e acqua. L’unico modo che hanno per poter attraversare il vicino fiume Semliki è a bordo di una zattera a motore che fa la spola da una parte all’altra della riva.
“Lungo il tragitto – raccontano – che ci porterà alla fattoria didattica “Nino Baglieri”, dove siamo diretti, le uniche opere pubbliche che intravediamo sono piccole centrali idroelettriche, che forniscono energia, insufficiente, alla città”. Già, perché la guerra civile trentennale, gli interessi internazionali sulle ricchezze minerarie e i conflitti locali tra fazioni per il controllo della terra, hanno portato ad una situazione socio-politica molto complessa e travagliata, in una delle regioni tra le più ricche del pianeta. Arrivati alla fattoria, ad attenderli c’è Padre Salvatore Cerruto, prete missionario siciliano, che in questa regione opera nella costruzione e nella gestione di due centri per bambini malnutriti, di un ospedale e di una fattoria didattica, intitolata allo scrittore modicano Nino Baglieri. “Insieme visitiamo Butembo, dove esistono e sono ancora funzionanti fabbriche per la lavorazione del caffè, uffici per il controllo della qualità e l’emissione di certificati fitosanitari. Questo viaggio, da un lato ci ha toccati per la povertà che avverti ad ogni angolo, dall’altro ha dato speranza ai contadini, che credono ancora fortemente in un nuovo sistema basato su una politica di sostegno e di incentivazione al ritorno ai mestieri”. Una speranza alimentata anche dal fatto che in tutta l’area del Nord Est esistono diverse comunità che producono modeste quantità di caffè e che si sono consorziate, come nel caso delle novanta comunità del Tuungane, a sud di Lubero. Ogni due mesi si riuniscono per trovare soluzioni condivise per far fronte alle necessità comuni di collaborare con le organizzazioni coinvolte, di informare il consumatore finale. Una speranza, quella del caffè, che potrebbe tornare a diventare una reale opportunità di crescita per questo paese.
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