Intervista alla scrittrice Sveva Casati Modignani. Due uomini i protagonisti del suo ultimo libro.
Sveva Casati Modignani, all’anagrafe Bice Cairati, è una delle firme più amate della narrativa contemporanea: i suoi romanzi, tradotti in venti paesi, hanno venduto oltre 12 milioni di copie. E’ da poco uscito il nuovo libro, “Suite 405” (Sperling & Kupfer) dove i due protagonisti, uomini molto diversi nella vita professionale e privata, incrociano i loro destini sull’autostrada Roma-Milano.
In ogni personaggio che racconti c’è sempre un pizzico di te. Cosa ti ha dato l’ispirazione per questi due uomini, Lamberto, imprenditore, e Giovanni, sindacalista?
Dovendo parlare del mondo del lavoro ho messo in contrapposizione quello che per me rappresenta il modello di due figure professionali. Il sindacalista ideale per me è Maurizio Landini, segretario CGIL, mentre l’imprenditore ideale l’ho conosciuto, ma è mancato un anno fa ed era proprio come il protagonista del mio romanzo. Ho voluto raccontare il mondo della classe operaia, che negli ultimi decenni ha subito profonde e significative trasformazioni.
All’inizio della tua carriera scrivevi romanzi a quattro mani con tuo marito. E’ stato difficile condividere un lavoro, direi così “ intimo” come la scrittura?
In realtà i romanzi io li scrivevo e mio marito li correggeva. E’ andata avanti così per tre libri. Ho comunque reso partecipe mio marito della mia scrittura per 20 anni, durante la sua malattia. Circolava la voce che li scrivesse lui e io li promuovessi. La cosa più triste era che lo pensavano soprattutto le donne e quando mio marito è morto dissero “Adesso smetterà di scrivere!”. Sostengo da sempre che i peggiori nemici delle donne non sono gli uomini, ma le donne stesse.
Alla luce della tua esperienza professionale di giornalista e scrittrice è peggio la rivalità femminile o il maschilismo?
La rivalità fra donne nasce dal maschilismo perché da sempre l’uomo ha fatto in modo di mettere le donne le uno contro le altre. Alcune se ne sono accorte, altre no.
Hai avuto la fortuna di essere una delle poche giornaliste ad incontrare i Beatles nel loro unico tour in Italia (si travestì da cameriera per poter entrare nella loro camera).
Non amo appuntarmi una medaglia per quell’intervista, anche perché non fu mai realizzata. Era evidente la grinta con cui facevo il lavoro di cronista, grinta che non ho abbandonato. Quando penso a una storia cerco di individuare un argomento che coinvolga, da un punto di vista sociale, una parte sostanziosa del nostro paese. A quel punto vado a rompere le scatole a tutti quelli che sono utili per trovare informazioni e materiale. Ho fatto così anche con Maurizio Landini.
Vivi a Milano da sempre. Qualche anno fa dicevi che fosse molto peggiorata. Oggi come la vedi?
Milano è una vetrina lustra per chi viene a vederla come turista, ma ogni tanto quando vado in giro mi sembra di essere a Mosca. Quando sei in centro è tutto perfetto, ma appena arrivi nelle periferie noti lo squallore.
Da sempre nei tuoi libri scrivi dei finali molto positivi e la critica per questo non ti ha mai apprezzata. Perché questa scelta di “abbellire la realtà”?
Perché è quello che io desidero per tutti e per me stessa. La vita non è sempre così, purtroppo. Io faccio fiction, anche se poi racconto cosa succede realmente in questo paese. Molti infatti mi dicono che i miei romanzi fanno pensare e riflettere. I miei finali non sono mai alla “ vissero a lungo felici e contenti”, ma sicuramente hanno sempre una finestra aperta verso l’ottimismo. Essere disfattisti nuoce a noi stessi e a chi ci sta vicino e io da sempre preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno.
Hai un modo di scrivere disciplinato o segui la creatività del momento?
Io sono molto disordinata nella mia scrittura. Non ho orari, ma quando mi metto davanti alla macchina da scrivere il romanzo è già fatto. Lavoro prima elaborando la storia nella mia testa e nel momento in cui comincio a scriverla ho ben chiari i personaggi e la vicenda. Qualche volta ho cercato di dire al mio editore “Ho già tutto il romanzo in testa, dammi i soldi e ci salutiamo”, ma chissà perché non ne ha mai voluto saperne (ride).
Se ti dico “odore di caffè”, un pò come la madeleine di Proust, cosa ti viene in mente?
In casa mia non si beveva tè, ma solo caffè. Trovo che una bella tazza di caffè americano costituisca un bel combustibile. Ne bevo tazze e tazze fin dalla mattina. Balzac addirittura rimase intossicato da questa bevanda. E’ un’ottima alleata di chi scrive e sta molto da solo.