Francesco Mandelli: dopo “I soliti idioti”, regista di un film sul bullismo.

Francesco Mandelli

Nongio e Ruggero De Ceglie lasciano il posto al Mandelli scrittore e regista.

Francesco Mandelli per la generazione di quelli degli anni ’70 è stato uno dei volti di MTV, prima come spalla di Andrea Pezzi e poi come “Nongio”, dal nome del suo personaggio più famoso. In realtà non si è limitato alla tv – dove ha sempre condotto programmi di successo – ma si è cimentato nel teatro (dove ha recentemente portato il monologo di Will Eno “Proprietà e atto”), in programmi alla radio e nella scrittura (il suo romanzo “Mia figlia è un’astronave” ha ottenuto tante critiche positive e avuto diverse ristampe). Ad aprile la nuova sfida con il cinema, dove debutterà come regista nel film “Bene, ma non benissimo”, una commedia che affronta il tema del bullismo.

Ai tempi del “Nongio” avresti mai immaginato questo futuro così pieno di attività?

Da un certo punto di vista rispondo no. Il mio ingresso a MTV è stato casuale e il giorno in cui sono andato a fare il provino con Andrea Pezzi non avrei mai immaginato cosa sarebbe successo. Eppure avevo la netta sensazione che quell’incontro mi avrebbe cambiato la vita. Non so né in quale modo né perché. Facevo teatro nel mio paese, anche se a livello amatoriale, e avevo pudore a pensare che quello sarebbe potuto diventare un lavoro ed io diventare uno di loro.

Nel tuo secondo romanzo, “Mia figlia è un’astronave”, si parla poco di paternità. Perchè?
Il libro parte dall’esperienza della nascita di mia figlia che mi ha stravolto la vita, il modo di vedere la vita e immaginare il futuro. Nei suoi primi 9 mesi di vita non ho lavorato, ho rifiutato molte proposte per poter stare accanto a lei e vederla crescere. Dal punto di vista lavorativo sono stato fortunato perché ho potuto dire di no ed è stato molto emozionante vedere crescere la bambina e, contemporaneamente, sentire crescere dentro di me l’istinto paterno. Tutti mi dicevano che con la nascita di mia figlia sarebbe cambiata la mia vita e, mentre mia moglie era incinta, pensavo che non era vero nulla, che sarebbe cambiata a lei la vita e non a me. Non era vero, sono stato anche io investito dall’uragano.

La tua generazione vive, però, la paternità in maniera diversa dai nostri genitori…
La mia generazione riesce ad essere intercambiabile a causa di un futuro professionale incerto e riesce quindi a realizzare se stessa nel lavoro e anche come genitore. In realtà nel libro parlo sì di genitorialità, ma soprattutto di cambiamento. Non si può rimanere la stessa persona per tutta la vita, il cambiamento è faticoso, ma se non si ha il coraggio di osare non si raggiungono risultati fino a quel momento impensabili. Per me il cambiamento si è concretizzato nell’interpretare il monologo “ Proprietà e atto” di Will Eno! La cosa più difficile, semmai, è far abituare gli altri al nostro cambiamento.

Quando hai capito “sono diventato padre”?
Non appena mi hanno messa in braccio la bambina. Vederla è stato qualcosa di incredibile. Ero seduto su una poltrona in ospedale. Nel momento in cui me l’hanno data in braccio ho capito che tutto sarebbe cambiato. Il mio lavoro è bello, ma sono sempre stato pagato per pensare a me stesso (l’attore è un gran narcisista!) e non avere responsabilità. In quel momento le cose si sono totalmente ribaltate. Il primo posto è stato occupato da mia figlia, il resto dal lavoro, dai grandi e piccoli successi, dalle grandi e piccole soddisfazioni.

Farai leggere il libro a tua figlia da grande?
Assolutamente sì! Il libro trae ispirazione dalla mia vita, ma non è autobiografico, le due storie sono estremizzate. Al liceo uno dei miei libri preferiti è stato “ Jack frusciante è uscito dal gruppo”, un romanzo di formazione. Secondo me anche il mio libro è un romanzo di formazione poiché analizza e racconta la maturazione dei due protagonisti .

Hai dedicato il libro a Van Basten, John Fante e gli Oasis. Perché?
Sono un gran tifoso milanista, ma ho capito ben presto che le storie che mi appassionano veramente sono quelle dei “perdenti”. Van Basten poteva rimanere il più forte al mondo per molto tempo; l’incidente alla caviglia, però, lo ha portato al ritiro anticipato. Questo mi ha fatto capire come si diventa quando il destino ti si rivolta contro e sei costretto a cambiare vita: una persona imperfetta e con un pizzico di malinconia, ma non per questo meno affascinante e meno importante. Ho citato John Fante perché mi ha insegnato la passione per la scrittura. Gli Oasis sono stati il gruppo musicale preferito durante l’adolescenza da cui ho imparato l’importanza del talento e del saperlo riconoscere: avere obiettivi importanti per andare lontano!

Hai condotto “Start!”, un programma su Rai2 in cui spiegavi l’importanza della rete. Nel tuo film da regista che esce ad aprile “Bene, ma non benissimo”, parli del bullismo che spesso passa proprio da internet. Che approccio avrai con tua figlia sull’uso dello smartphone?
Sono molto critico sull’uso della tecnologia perché trovo che ne abusiamo. In certi casi è utile, ma spesso si trasforma in un comportamento ossessivo e compulsivo. Se per esempio parli con un amico e ti sfugge il nome di un attore, vai subito a cercarlo su internet. Con quel gesto stai facendo del male alla tua memoria che non può, per ovvi motivi, essere come la banca dati di Google! Inoltre, così facendo, non aiutiamo la nostra mente ad esercitarsi. La volta successiva, infatti, il nome di quell’attore non lo ricorderemo ancora! I social hanno valore solo se promuovono il tuo lavoro, non come pubblicità di per sé (vedi gli influencer). Quando sono con mia figlia cerco di non usare il telefonino davanti a lei; magari le faccio vedere un video musicale con me presente, ma non la “parcheggio” con la tecnologia in mano. Avrà uno smartphone tutto suo solo quando sarà in grado di conoscerne aspetti positivi e negativi.

Dove vorresti bere un caffè? Sul set di un film, davanti al nuovo libro che stai scrivendo, nel camerino del teatro?
Vorrei dire in tutte queste occasioni. Se fosse mattina opterei sul set di un film. Io bevo caffè americano e solo quando lavoro. Più che per tenermi sveglio rappresenta un rito in un momento di pausa. Per me il caffè va sorseggiato con gusto e con il giusto tempo a disposizione.