Padre del rap italiano, a 50 anni scrive il suo primo libro in cui racconta la sua vita e la nascita dell’hip hop.
Frankie Hi Nrg, Francesco Di Gesù, è l’uomo che ha fatto conoscere il rap in Italia, ma lui come è entrato in contatto con questo genere musicale?
Frankie lo spiega nel libro Faccio la mia cosa, in cui alterna capitoli dove racconta la sua vita ad altri capitoli in cui, in particolare, spiega la nascita dell’hip hop. Al suo interno ci sono dei QR code che rimandano alle canzoni di cui parla. Da quelle che hanno fatto la storia dell’hip hop, ai brani che mandavano le radio, a quelle che Francesco ascoltava nel mangianastri degli amici. Tutto può influenzare un artista, con Francesco ci hanno pensato anche le canzoni dello Zecchino d’oro, ma anche Alice, Franco Battiato, Donatella Rettore…
Mentre tutti raccontano la propria carriera, tu hai raccontato il prequel, cioè ciò che è successo dalla tua nascita da papà ingegnere e mamma egittologa fino alla pubblicazione del primo singolo “Fight da faida”,vincitore del titolo di miglior canzone rap nella storia della musica italiana. Perché questa scelta?
L’obiettivo era raccontare come mi ero avvicinato al rap e dare un esempio di come può essere il percorso di una persona che si appassiona a un determinato genere musicale. Da quando ho cominciato a fare rap la storia è stata sotto gli occhi di tutti, inutile raccontarla. Il libro comincia con la nascita di Francesco Di Gesù e termina con quella di Frankie Hi Nrg.
Il fatto che il libro si intitoli come un tuo pezzo del ’93 spiega molte cose (“Faccio la mia cosa” dall’album Verba Volant).
Sì, “Faccio la mia cosa” è la spiegazione di come ho raggiunto lo stile che ho usato nella realizzazione della canzone. Non considero questo libro un manuale d’uso, ma la descrizione di un metodo che ho usato per raggiungere certi obiettivi.
Mi vuoi spiegare perché uno come te che ha una così grande padronanza della lingua italiana ha impiegato tanto per scrivere un suo libro?
La padronanza della lingua ce l’ho da sempre ma ho aspettato 50 anni per scrivere un libro mio. Ero alla ricerca, prima di mettermi davanti a un foglio bianco, di una chiave di racconto che mi potesse far vedere una completezza, cioè un inizio, uno svolgimento e una fine. Questo è un modo di lavorare che applico anche alla scrittura di una canzone.
Nella parte del libro dedicata alla tua vita c’è molta ironia, mentre in quella dedicata alla musica si scopre che il rap non nasce come denuncia sociale ma come forma di intrattenimento nelle feste nel Bronx. Quindi c’è e serve anche l’ironia nel mondo hip hop?
L’ironia serve nel mondo. Punto. E in quello hip hop se ce ne fosse stata abbastanza sarebbero venuti fuori molti meno morti ammazzati (questa non è un’immagine figurata!). Il prendersi tanto sul serio tipico di molti rapper mi fa sorridere. Affermare di sentirsi i migliori di tutti è un atteggiamento che non ho mai capito, eppure molti adesso lo fanno. Anche i Run dmc lo dicevano “I’m the better of the best”, ma con loro trovavo dell’ironia che sottolineava, con uno spessore letterario, compositivo, etico e umano, quanto in realtà fossero persone umili. Gli stessi 3rd Bass, gruppo rap bianco, in “The cactus album” avevano inserito dei testi buffi e una leggerezza che purtroppo è andata scomparendo, probabilmente anche perché nel rap sono arrivati troppi soldi…
Chi fa rap racconta il disagio, chi fa trap ci vive. Si può dire così? Oppure dipende da quanto un artista si relazioni con il passato?
La trap è una emanazione dell’hip hop, ma va in una direzione opposta. In generale c’è una sofferenza di fondo esorcizzata con soldi, canne e sciroppi alla codeina. Le canne hanno contraddistinto molti rapper aiutandoli nella fase creativa, nessuno ne è immune, ma i trapper sottolineano la difficoltà di rapportarsi a loro stessi e a gli altri. Parlano molto di madri, sembra che non esista un padre se non per chiedergli soldi ed ex fidanzate sante che stanno con uomini senza palle. Insomma, da una parte il desiderio di essere una super star e dall’altra una vita abbastanza superficiale, da adolescente americano, dove al massimo si mangia kebab tutte le sere.
Il tuo libro sarà anche uno spettacolo teatrale, un monologo in scena da ottobre nei principali teatri italiani (debutto il 19 all’Eliseo di Roma). Cosa succederà sul palco?
Canterò e sarò anche il dj che manda i video di cui scrivo. Sarà una sintesi del libro che traccerà il percorso che mi ha portato fino a qui.
Il caffè per te è legato a un rito?
Ne bevevo tanti e adesso ho ridotto, ma in questa rinuncia me lo godo di più. Bisogna scegliere dove bere un caffè e ricordarsi che il suo gusto dipende dalla macchina che si usa, dagli ingredienti e da chi lo fa. Una volta trovato chi lo sa fare come ci piace, bisogna andarci sempre, premiando così chi lo prepara.