Fondatore e leader dello storico gruppo rock italiano dei Dik Dik, nella sua vita non ha scalato solo la vetta del successo, ma anche quella della montagna più alta delle Ande, l’Aconcagua, dopo essere arrivato un anno prima in cima al Kilimangiaro. Pietruccio Montalbetti ha sempre avuto la passione per i viaggi e per la natura e se ai tempi dei Dik Dik ha girato il mondo in compagnia e per lavoro, oggi il musicista errante ama viaggiare in solitaria, immergendosi nella natura e nella cultura dei popoli del luogo e vivendo a stretto contatto con tribù primitive che mai hanno incontrato la nostra civiltà. Pietruccio è un uomo che ha molto da raccontare, da musicista e da viaggiatore e lo ha fatto anche attraverso i suoi libri “Io e Lucio Battisti” e “Sognando la California, scalando il Kilimangiaro”, dove ama svelare la vera anima delle persone e dei luoghi. Da poche settimane è tornato dalla Patagonia – è il caso di dirlo – in capo al mondo. Un viaggio lungo ed emozionante, dalle Ande fino alla Terra del Fuoco con i suoi ghiacciai tra più vasti al mondo. Un viaggio dove a tenerlo sveglio, per non far sfuggire ai suoi occhi e alla sua memoria la bellezza della natura, è stato proprio il nostro caffè.
Sei appena tornato dalla Patagonia. Perché questa meta e cosa ti sei portato dietro da questo viaggio?
L’anno scorso quando ho raggiunto la vetta dell’Aconcagua, a 7000 metri il mio fiato era sospeso dinnanzi alla maestosa bellezza della natura. La mia guida, un cileno, in quel momento mi disse “sapessi come è bella la Patagonia e la Terra del Fuoco”. Così a gennaio decisi che
dovevo vederla. Il cileno non si sbagliava: è uno dei luoghi più affascinati che abbia mai visto, dove la natura, con i suoi ghiacciai è abitata solo da pinguini e balene.
Da cosa nasce la passione per i viaggi e cosa ti spinge a girare il mondo da solo?
È una passione innata. Da piccolo sognavo di fare l’esploratore. Grazie alla musica ho riscoperto la voglia di viaggiare, ma in modo diverso. Ho sentito forte il bisogno di isolarmi, per ritrovare me stesso e capire da dove nascesse il mio ateismo. Viaggiare vuol dire avere più rispetto del mondo e delle persone. Mi piace spostarmi con i mezzi dei popoli che abitano quel posto, mangiare e dormire come loro, immergendomi completamente in quella realtà.
I tuoi, più che viaggi, sono vere e proprie spedizioni, imprese ardue in luoghi inesplorati, dove bisogna avere anche una buona dose di coraggio?
Più che coraggio bisogna avere rispetto del proprio corpo e dello spirito. Ho sempre condotto una vita abbastanza sana, mantenendo un certo rigore nel cibo, non bevendo alcolici, né facendo uso di droghe. Mi alleno quotidianamente e questo mi consente di avere anche a settant’anni una buona resistenza e forza fisica.
Pietruccio Montalbetti non solo musicista e viaggiatore, ma anche autore di libri, dove ami raccontare la vera anima delle persone e dei luoghi che hai conosciuto.
Ho scritto tre libri, il primo “I ragazzi della via Stendhal”, che racconta la generazione degli anni sessanta. Qualche anno dopo esce “Sognando la California. Scalando il Kilimangiaro”, che non è il racconto di un viaggio, ma di come quest’ultimo aiuti a conoscere meglio se stessi, soprattutto quando sei da solo, in una tenda a 25 gradi sotto lo zero e non puoi fare a meno di riflettere e pensare. Nell’ultimo libro “Io e Lucio Battisti”, invece, ho voluto rendere giustizia non all’artista, ma all’uomo Lucio Battisti e al suo mondo di emozioni e timidezze, lontano dai riflettori.
Quale sarà la tua prossima meta?
Non ho ancora deciso, ma mi piacerebbe andare in Costa Rica e in Tasmania.
A tenerti sveglio in Patagonia c’è stato anche il caffè. Sarà il tuo compagno di viaggio nella tua prossima impresa?
Assolutamente sì. Quello Moak e rigorosamente senza zucchero.
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