Simone Cristicchi: “il dolore si può trasformare in bellezza”.

Simone Cristicchi

Cristicchi, cantante e autore, in questa intervista ci spiega perché si diventa forti se si è deboli.

L’unico termine che può essere usato per descrivere Simone Cristicchi è “artista”, nel suo senso più ampio e più profondo. La sua attività è molteplice: scrive, recita a teatro, dirige documentari e canta. E’, insomma, una persona sensibile alla bellezza e ai vari modi di esprimerla. La sua vita doveva andare verso un’altra strada, cioè disegnare fumetti. Gli era infatti stato offerto un contratto da una famosa rivista che lui , invece, rifiutò per studiare Storia all’Università. Durante il periodo nel quale si è impegnato come obiettore di coscienza ha frequentato alcuni centri di igiene mentale, esperienza che lo ha colpito profondamente tanto da dedicargli un libro (“Centro di igiene mentale”), uno spettacolo teatrale (C.I.M.) e un documentario (Dall’altra parte del cancello).

Hai da sempre avuto una particolare attenzione per il “diverso”, rappresentato da coloro che sono fuori dagli schemi. E’ forse perché tu per primo ti sei sentito “diverso” dagli altri?
Sì, ma l’ho capito dopo tanto tempo. A dodici anni ho perso mio padre e mi sono autoescluso dal mondo perché sentivo che mi mancava la figura paterna a cui ero molto legato. Ho ritrovato dei quaderni dove scrivevo tutto. L’arte mi ha veramente salvato la vita, perché sarei potuto rimanere per sempre chiuso fra quelle quattro mura e invece la sofferenza mi ha permesso di condividere e vincere questo dolore trasformandolo in bellezza.

Ora sei in tournée con “Manuale di volo per uomo” in cui la scenografia è una stanza vuota. E’ un caso o richiama la camera dove ti eri chiuso durante la tua adolescenza?
Effettivamente potrebbe somigliargli, ma è molto simbolica. In realtà rappresenta la nostra mente che può essere un luogo di prigionia, un luogo diabolico ma anche uno strumento meraviglioso che piano piano si riempie e si colora e può dare spazio a ciò che abbiamo dentro.

In questo spettacolo interpreti un 40enne rimasto bambino che si stupisce di qualsiasi cosa, anche della più banale. C’è qualcosa che ti stupisce ancora?
Tutto, anche se credo che lo stupore vada coltivato. Bisogna riportare la mente alle priorità: che cosa siamo venuti a fare in questo mondo? La risposta è migliorarci e l’obiettivo di questo spettacolo è proprio quello di riportarci verso la verità, verso una vita che non sia artefatta. Nella vita recitiamo parti e indossiamo maschere, Pirandello insegna! Io per esempio a Sanremo ho dimostrato che l’avevo tolta e sono stato così tanto me stesso che mi sono commosso. Non avrei potuto presentare quella canzone (“Abbi cura di me”) se non ci avessi messo dentro tutto me stesso.

La canzone che hai presentato al festival fa parte di una raccolta dei tuoi successi ed è la proclamazione senza mezzi termini delle proprie fragilità. Perché si fa così tanta fatica a riconoscerla?
C’è questa mania di mostrarsi più forti di quello che si è, sembra che l’uomo non abbia limiti di nessun genere, ma la vera felicità è ammettere le proprie insicurezze. Noi diventiamo più forti quando siamo deboli, perché riconosciamo le nostre fragilità dimostrando di essere veri. Secondo me una delle cose più belle è vedere un uomo che piange, non per essere sadici ma perché vuol dire mettersi a nudo e dimostrare di essere umani, di sentire nel profondo il dolore e la gioia e sapersi emozionare di fronte a ciò che ci colpisce, nel bene e nel male.

Che bilancio fai come direttore del Teatro Stabile de L’Aquila a dieci anni dal terremoto?
La situazione è abbastanza difficile, ancora non abbiamo una sede stabile. Il teatro comunale è in fase di restauro e probabilmente sarà pronto fra due anni. Per me è come se fosse un fiore che cresce nell’asfalto perché riesce a germogliare nonostante le difficoltà. A L’Aquila la vita continua a battere grazie ai giovani che ci studiano e sono come un soffione che cresce ovunque.

Come e con chi vorresti prendere un caffè?
Io da qualche tempo sto intrattenendo una corrispondenza con una suora di clausura conosciuta in un monastero di clarisse sul lago di Iseo. Mi piacerebbe poterla incontrare e prendere un caffè insieme. La preferisco a personaggi famosi, per me lei è una persona piena di vita e di cose da scoprire. Potremmo parlare a lungo davanti ad un caffè.