Le piccole e medie imprese ci salveranno dalla crisi. Intervista a Paolo Preti

Se negli ultimi anni molte delle imprese italiane per sopravvivere hanno scelto di allearsi con le multinazionali, oggi forse non è questa la strada da seguire. Per Paolo Preti, Professor delle Organizzazioni delle Piccole e Medie Imprese dell’Università Sda Bocconi, a salvare l’Italia saranno proprio le imprese di piccola e media dimensione, quelle ancora legate al territorio e di proprietà familiare. Una visione che ci rassicura, soprattutto per chi ancora batte i pugni per salvaguardare e preservare il vero made in italy. Ad avere un ruolo da protagonista è il consumatore, che, nonostante sia più consapevole ed informato, reputa gli acquisti sempre meno affidabili e vuole tornare a fidarsi del bar e della bottega sotto casa.

Negli ultimi mesi i media affermano che i prodotti made in italy nel settore food ci salveranno dalla crisi economica. Possiamo sperarci?

Paolo Preti

Il food in Italia ha una grandissima importanza e può tracciare la strada che tutte le aziende dovranno seguire per portare il Paese fuori dalla crisi. La strada è quella che io chiamo dell’impresa forte. Lo slogan è “fare meglio quello che si è sempre fatto rendendolo visibile”. Le piccole imprese non possono competere sull’economia di scala, devono trasformare quello che per molti può essere un limite in una opportunità: la piccola dimensione come regno della qualità. Altro aspetto è la specializzazione. Il meglio a cui siamo obbligati per competere è l’esito soltanto di una specializzazione sempre più spinta, oltre al saper fare innovazione anche nei settori maturi, purchè sia di tipo incrementale, ovvero quella dei piccoli passi. Le piccole e medie imprese hanno sempre alla guida imprenditori che amano il fare, dove l’unica difficoltà è riuscire a comunicarlo nel modo giusto. In Italia abbiamo bisogno di gente che aiuti la diffusione, che porti in giro i prodotti, che ne parli bene, li faccia trovare vicino ai potenziali consumatori, in tutto il mondo. Se vogliamo competere con le multinazionali dobbiamo farlo con le armi della piccola impresa, che punta sulla qualità, saper far bene il proprio mestiere, avere una storia alle spalle fatta di persone.

A proposito di gente che parli bene dei nostri prodotti, recentemente si è posta l’attenzione su una nuova community: i food-evangelist. Chi sono e come si comportano?

Avere dei pionieri che testano, sperimentano e che ne parlino vuol dire diffondere conoscenza. Il vero food evangelist, però, secondo me non è quello che va in giro a parlare di mestiere. Mi piacerebbe piuttosto che si creasse un modello tripadvisor per il settore alimentare, un giudizio che arrivi dal basso e non dall’alto. Non una professione che inevitabilmente prima o poi innesca una lobby. Qualcuno che dia vita ad un mezzo sul web dove ciascuno possa dare un giudizio non pilotato. È ovvio che ce ne vorrebbero almeno cento di giudizi per ciascun prodotto, tra quelli negativi e quelli positivi, per avere un feedback quanto più veritiero. Unico limite potrebbe essere quello del giudizio espresso secondo i propri gusti.

Il consumatore italiano, rispetto al passato, è sempre più attento ed informato. Quanto è consapevole di ciò che acquista?

Il vero problema è fidarsi. Nessuno è profondo conoscitore di tutto ed essere informati non sempre chiarisce le idee. Il consumatore può fidarsi delle certificazioni, del prodotto che espone il marchio made in Italy, ma la vera fiducia deriva da un rapporto di lungo periodo tra chi produce e chi acquista. È quella fatta di rapporti personali, che nel mercato globalizzato è difficilissimo ottenere. Ecco perché è importante il forte attaccamento al territorio. In qualunque settore le piccole e medie imprese non ha quasi mai sede nei capoluoghi, ma nei piccoli centri di provincia, dove i rapporti sono consolidati, dove la famiglia da sempre ha operato; lì vivono i collaboratori, lì c’è un rapporto stretto con le banche del territorio. Chi fa bene il proprio lavoro emerge. Sopravvive chi non vuole puntare ai grandi numeri, ma ai rapporti personali. Il bar sotto casa che serve le trecento persone che abitano in zona, matura rapporti di lungo periodo e quindi crea fiducia.

Un rapporto quindi, quello tra chi acquista e chi produce, sempre più diretto. Quanto hanno inciso i social network?

Oggi tutti sono amici sui social network, ma tutti sono chiusi in camera da soli e non hanno un amico vero. Senza dubbio è un ottimo strumento. Dal punto di vista personale su facebook si può rafforzare un legame, ma non aspettarsi di avere nuovi amici veri. Dal punto di vista del marketing posso rafforzare la comunicazione e sfruttare questo mezzo come passaparola grazie a chi ha avuto modo di conoscere il mio prodotto o servizio e lo promuove e divulga liberamente in rete.

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